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LA CHIESA DI DIO

S. Dionigi   26/12/2024

 

S. Dionigi

 

m. 268

(Papa dal 22/07/259 al 26/12/268)
Di patria ignota, fu testimone della tragica fine del sanguinario imperatore Valeriano. Provvide all'organizzazione della Chiesa, costituendo parrocchie e diocesi.

Etimologia: Dionigi = consacrato a Dioniso (è il dio Bacco)

Martirologio Romano: A Roma nel cimitero di Callisto sulla via Appia, san Dionigi, papa, che, colmo di ogni virtù, dopo la persecuzione dell’imperatore Valeriano, consolò con le sue lettere e la sua presenza i fratelli afflitti, riscattò i prigionieri dai supplizi e insegnò i fondamenti della fede a coloro che li ignoravano.


Già presbitero della Chiesa romana, fu eletto al sommo pontificato nel luglio 259 e regnò fino al 268. In una lettera a lui indirizzata il vescovo Dionigi di Alessandria lo chiama "uomo ammirabile e rende testimonianza della sua cultura e della sua eloquenza (Eusebio, Stor. Eccl., VII, 8). S. Basilio poi attesta che egli aveva una fede retta e possedeva tutte le virtù (PG, XXXII, col. 436). Durante il suo pontificato Dionigi dovette intervenire in una importante questione dottrinale riguardante l'omonimo vescovo di Alessandria. Questi era stato accusato, da alcuni suoi chierici, presso il pontefice, di negare l'eternità del Verbo, la sua consustanzialità con il Padre, e di asserire che era una creatura. L'accusa non era infondata, poiché il vescovo alessandrino, nella foga di combattere l'errore di Sabellio, in alcune sue lettere aveva adoperato delle frasi che veramente sembravano affermare quegli errori; lo stesso s. Atanasio, pur cercando di spiegarle in senso ortodosso, non ne negava il tenore.
Per esaminare la questione, Dionigi convocò un sinodo e a nome di tutti scrisse due lettere ad Alessandria: una diretta al vescovo, con la quale chiedeva spiegazioni sulla sua fede; l'altra, alla Chiesa alessandrina, nella quale pur tacendo il nome dell'accusato ne confutava e condannava la dottrina.
Questa seconda lettera è un documento dottrinale importantissimo, in cui si trova già condannato avanti tempo quello che poi sarà l'errore degli ariani. Dionigi, pur non discutendo da teologo, ma parlando come custode e difensore della rivelazione aflìdata alla Chiesa, con parole chiare ed energiche, da maestro autorevole, vi condanna sia il modalismo di Sabellio, sia coloro che, per confutare quell'errore, sembrano ammettere in Dio una specie di triteismo; afferma quindi non meno chiaramente l'unità e trinità di Dio; che il Verbo non è una creatura, ma è stato generato dal Padre, dal quale è ab eterno, e quindi non ebbe esistenza col tempo.
Il vescovo alessandrino, accettando in semplice umiltà l'esposizione di Dionigi, rispose con una lettera in cui spiegava il suo pensiero e poi più a lungo con una Apologia.

Dalla lettera di s. Basilio sopra citata, sappiamo ancora che Dionigi, continuando la tradizione caritatevole della Chiesa romana a favore dei bisognosi, scrisse ai fedeli di Cesarea di Cappadocia per consolarli delle tribolazioni sofferte in occasione di una scorreria di barbari, ed insieme inviò degli aiuti in denaro per la liberazione di quei cristiani che erano stati fatti prigionieri.
L'autore del Liber Pontificalis afferma, con poca verosimiglianza, che Dionigi era un monaco e che, eletto papa, distribuì ai presbiteri romani la direzione delle chiese e dei cimiteri.
Sulla sua morte le indicazioni delle fonti sono alquanto discordi. Nella Depositio Episcoporum il SUo nome è registrato al 27 dicembre, e il luogo della sepoltura è indicato nel cimitero di Callisto, nel Catalogo Liberiano, invece, e nel Martirologio Geronimiano, seguiti anche dal Romano, si dice che morì il 26 dicembre e fu sepolto nel cimitero di Priscilla: questa notizia è certamente falsa. Il Catalogo, poi, aggiunge che Dionigi morì martire, ma ciò, oltre al fatto di essere in contrasto con l'indicazione della Depositio, è anche inverisimile, poiché il pontificato di Dionigi coincise con il governo degli imperatori Gallieno e Claudio il Gotico, di cui il primo revocò espressamente la persecuzione scatenata dal padre Valeriano, mentre il secondo non fu persecutore.


Autore:
Agostino Amore